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Zuccotto a Natale

Osservavo quel grande orologio digitale che mi proiettava l’ora come se mi stesse sfidando. Come se volesse dirmi: “Mi spiace, ma il tempo è tiranno!” Già... questo lo stavo constatando da me senza che quelle lancette invisibili me lo ricordassero. Come se non fosse chiaro che si stava facendo dannatamente tardi e l’aereo sarebbe partito senza di me.  E intanto,   in quella stanza ben illuminata da luci e sorrisi, si continuava a parlare. Nessuno di quei presenti aveva urgenza di andarsene. Risentivo nelle orecchie la voce del mio capo che diceva:

“Quella riunione sarà una pura formalità caro Paolo. Ma tu non puoi mancare. Non dopo…” “La mia promozione” avevo concluso io. Non era difficile arrivarci,  visto che il mio capo era incline a ricordarmelo spesso quel nuovo risultato che mi permetteva di mirare ad obbiettivi ancora più alti.

Sta di fatto che  quella conversazione avvenuta neanche una settimana prima, aveva scombinato tutti i miei piani.

E se la mia promozione era stato un momento di gioia assolutamente inaspettato, era anche vero che cominciava a diventare ingombrante. Quell’avanzamento di ruolo era arrivato direttamente dalla sede centrale, luogo dove io adesso mi trovavo. Non era stato un semplice riconoscimento per il mio impegno in azienda. Da un giorno all’altro ero diventato il migliore tra i giovani assunti negli ultimi cinque anni.

E così, in un giorno di luglio ero partito da Roma alla volta di Leiden, una cittadina universitaria olandese. Simile ad Amsterdam, ma più piccola e tranquilla e soprattutto, la sede principale dell’azienda dove lavoravo.

Quella volta, ebbi poco tempo da dedicare alla città, ma quel poco che avevo visto, era stato sufficiente per farmela amare.

Ma poi ero tornato a casa, alla solita vita, al solito caos e avevo ripreso le solite abitudini.

Roma si preparava ad accogliere il Natale e anch’io mi sentivo pronto a dare il mio contributo in casa. Alla veneranda età di trentadue anni, vivevo ancora  coi miei perciò sapevo bene ciò che mi sarebbe toccato subire anche stavolta. Le solite domande su un’eventuale fidanzata, su come ero stato fortunato ad avere un così buon lavoro… e sulle mie mani d’oro in fatto di dolci. Infatti, Il mio compito in casa durante le feste, era soprattutto quello di fare il pasticcere. Il mio zuccotto ai savoiardi era diventato negli anni, un classico. “Chi ti prende, sarà una donna fortunata!” diceva sempre nonna Lina. Io le sorridevo e non commentavo. L’unica ragazza che avrebbe apprezzato i miei dolci senza paura di ingrassare, mi aveva lasciato. Aveva scelto proprio il direttore di un’azienda dolciaria. Che buffa è la vita a volte…

La notizia del mio viaggio improvviso a Leiden, mi arrivò un sabato pomeriggio. Ero seduto in veranda. Stavo dettando gli ingredienti da comprare a mia madre. Mancavano ancora dieci giorni al Natale, ma lei voleva avere tutto sotto controllo.

Quando posai il telefono e dissi: “Mi spiace mamma, quest’anno non sarò io il pasticcere in casa” la vidi impallidire.

Così aggiunsi: “Potrei dirti come fare. In fin dei conti non è difficile. Oppure potrei preparare tutto prima e congelarlo"

Scartai subito quella seconda opzione. “C’è la possibilità che possiate comprare i dolci in pasticceria…” Azzardai.

Mia madre era delusa, ma poi disse: “Ma sì Paolo, vai pure e divertiti, tu che puoi”

A quel punto risposi asciutto: “Non sarà un viaggio di piacere mamma. Alla sede centrale hanno richiesto anche la mia presenza. Sarà una riunione di fine anno. Dovrò portare una relazione scritta in merito. Perciò, sarà tutto tranne che una passeggiata.” Lei mi aveva guardato, ma in cuor suo, già lo sapevo, c’era solo un problema da risolvere. Chi mai avrebbe potuto sostituirmi nel preparare il dolce?

E così, ero partito. E se da un lato quel diversivo mi gratificava, dall’altro sapevo che mi avrebbe fatto passare  un Natale diverso. Poi, facendo bene i calcoli, mi ero reso conto che forse ce l’avrei fatta a raggiungere Roma in tempo per festeggiare in famiglia anche se non sarebbe stata la stessa cosa che essere lì con loro come al solito. Ma c’era stato un problema alla sede centrale. La riunione era stata rimandata alla vigilia e io avevo dovuto rimanere a Leiden fino al giorno seguente.

Quella sera avevo guardato il mercatino galleggiante ammirando la sua bellezza. I visi delle persone erano radiosi. Nonostante il freddo c’era molta gente a passeggio.

La mattina della vigilia, saldai il conto al B&B e andai in sede.

L’edificio era lungo e prendeva tutta una via. Era di mattoni rossi. Sembrava una di quelle vecchie fabbriche in disuso. Ma bastava varcare la soglia principale per accorgersi che all’interno tutto era nuovo e moderno.

Mi recai al primo e ultimo piano. In quel momento la sala riunioni era vuota. Mi soffermai ad ammirare la riproduzione di un quadro di Rembrandt. Era un suo autoritratto giovanile. Quel pittore non era uno dei miei preferiti, ma non potevo negare che il suo era stato un grande talento fin dalla sua giovane età. Rembrandt era nato proprio a Leiden. Qualcuno mi aveva mostrato il vecchio mulino a vento di suo padre. Avevo visto anche la statua che gli avevano dedicato nel quartiere dove aveva abitato. Ero assorto in quei pensieri quando mi arrivò un messaggio dal mio capo che diceva:

“Tieni duro Paolo. So che avrete una riunione fiume. A proposito: Buon Natale ragazzo!”

Le sue parole erano state esatte. In un momento di intervallo, avevo disdetto il volo e chiamato il B&B sperando che mi riprendessero per la notte, ma, con una voce dispiaciuta, mi dissero che non avevano più posto. Anche i voli per Roma erano al completo. Mi toccava aspettare fino al ventisei dicembre. Dove avrei passato il Natale? Ma soprattutto: dove sarei andato a dormire? L’intervallo era finito e rientrammo tutti in sala. Ero stanco. Sulla lavagna magnetica apparivano cifre che mi sforzavo di decifrare. Un collega austriaco mi sorrise. Forse anche lui non ne poteva più.

Cercai di non distrarmi. Qualsiasi problema, l’avrei affrontato dopo. E intanto l’orologio segnava le ore sedici. Senza volerlo visualizzai il mio aereo che in quel momento toccava il suolo di Ciampino. E quelli che sarebbero atterrati dopo di lui, ma senza di me. Pensai a mia madre e al zuccotto che forse avrebbe provato a fare lei. Immaginai l’espressione di nonna Lina e la sua voce roca che diceva: “Ma questo chi l’ha fatto? Non certo Paolo!” Mio malgrado, sorrisi. In un modo o nell’altro, qualcuno mi avrebbe menzionato. Forse sarebbero anche arrivati a pensare: “Be’, era ora che staccasse quel cordone ombelicale…” Comunque, quando finalmente la riunione si concluse, ci furono gli immancabili auguri di Natale. Pensai che tutto sommato, cambiava solo il luogo, ma poi quel rituale veniva ripetuto in migliaia e migliaia di uffici nel mondo in lingue diverse dando a quella festa  ognuno, un proprio valore.

Uscii da quell’edificio caldo, e mi immersi nel gelo di una vigilia che mi attendeva solitaria e triste.

Cercai di non farmi prendere dal panico. Aprii Google, deciso prima di tutto di cercare un buon ristorante. Avevo voglia di qualcosa che mi ricordasse l’Italia. In genere non sono nostalgico, ma quella era una serata particolare e sentivo la mancanza di casa. Digitai “Italian Restaurant” Mi uscì una sfilza di nomi che mi rincuorarono. Ce ne fu uno in particolare che mi attirò più degli altri, diceva: “A casa di Lara e Saverio”

In quel momento rimasi perplesso. Saverio era stato un mio grande amico fino a quando non decise un giorno di andarsene in Thailandia. Da allora non l’avevo più visto. Ogni tanto avevo incontrato sua madre che mi diceva sempre una cosa: “Saverio se la passa bene lì sai?” Io annuivo e non cercavo altre informazioni. Così, solo per un omaggio al nome del mio vecchio amico, chiamai il numero di Lara e Saverio.

Rispose una voce femminile che, non appena seppe che ero italiano, disse: “Ma lo sai che sei fortunato? Ho appena ricevuto una disdetta per stasera. Scriviti l’indirizzo, io e Saverio ti aspettiamo.” Non conoscevo bene la cittadina, così presi un taxi al volo e diedi l’indirizzo.

In effetti, il posto non era vicino. Ma quei minuti di macchina, mi servirono per riordinare le idee. Avevo paura di aver agito d’impulso. Quella dove mi lasciò il tassista, era una zona residenziale. Difficilmente avrei trovato da dormire lì.

Ormai era fatta. Mi avvicinai ai numeri delle case, e quando individuai il sette, suonai. Era una villetta a due piani col tetto spiovente e grandi finestre bianche. Il giardino non aveva steccato o un cancello. Era tutto così perfetto…

Mi ripresi subito quando la porta d’ingresso si aprì. Una donna bionda dal sorriso contagioso, mi accolse come se fossi un ospite importante. “Paolo giusto?” disse, allungando la mano per stringere la mia. In lei non c’era la benché minima forma di timore. Avrei potuto essere un serial killer o un malintenzionato. Invece lei disse: “Ciao, io sono Lara. Vieni, Saverio è ai fornelli.” All’interno, ritrovai quel calore che avevo lasciato in azienda poco prima. Ma lì c’era qualcosa in più del caldo di una stufa o di un camino. Lo percepii subito. C’era armonia e serenità. Individuai un piccolo cagnolino dal colore chiaro che mi venne ad annusare. “Lei è Star, la nostra piccola peste che fa compagnia a Sara, l’altra peste: nostra figlia che ora dorme in culla.”

Ero sbalordito. Quella famiglia era felice di cucinare per estranei nonostante avesse una figlia piccola e chissà quali altri impegni. Come se mi avesse letto nel pensiero, Lara disse: “Ci piace dare un po’ di calore ai nostri connazionali” “ ma non solo!” La voce era arrivata alle mie spalle. E quando mi girai io e Saverio rimanemmo a fissarci per un lungo momento. Anche Lara era rimasta in silenzio. I nostri occhi erano increduli e le immagini che ci passavano davanti erano forse le stesse. I nostri banchi di scuola vicini. Le nostre risate per cose assurde. E poi la voglia di viaggiare che Saverio aveva e che non era riuscito a trasmettermi. E infine, la sua partenza e tanti anni, almeno quindici, senza sentirsi o vedersi.

“Ero rimasto alla Thailandia” dissi, incapace di muovere un passo. Saverio aveva un grande grembiule addosso. Era lui il cuoco di casa. Alla fine  disse: “Lara, ti presento Paolo, il mio migliore amico fin dalle elementari.”

Non commentai gli anni di lontananza. Nemmeno io l’avevo più cercato, neppure sui social.  

Saverio mi raccontò che in Thailandia c’era rimasto solo per un breve periodo. “Lavorando nella ristorazione, ho conosciuto una persona che mi ha indirizzato qua.”

“E qui, in una pizzeria gestita da un napoletano, ci siamo conosciuti” aggiunse Lara.

Poi Saverio mi disse che ormai il suo B&B andava molto bene e che in aggiunta, avevano inserito l’ospitalità nella loro cucina. Tutto era perfetto. Raccontai del mio soggiorno a Leiden e del fatto che avevo perso l’aereo di ritorno.

A un tratto Lara disse: “Perciò, non hai un posto dove stare stanotte. Dico bene?” Io annuii. Vidi Lara e Saverio  consultarsi senza parlare. Dopo un momento di silenzio, Saverio disse: “In realtà le stanze del B&B sono piene. Ci avevano solo disdetto la cena. Però, non posso farti andare via Paolo. Non questa sera. Perciò se ti accontenti di un comodo divano letto, puoi rimanere da noi tutto il tempo che vuoi.” Io ero sbalordito. Come potevo rifiutare un’offerta così accattivante? Ero commosso. Lo scoppiettio della legna rendeva tutto più bello. Mandai gli auguri di Natale a mia madre e poi scrissi: “Non indovineresti mai con chi sto festeggiando la vigilia in questo momento.”

Lei rispose: “Io capisco solo che adesso stai bene. Buon Natale tesoro mio!” Quando sarei tornato le avrei raccontato tutto. Per ora, mi godevo quel bel focolare e quell’amicizia ritrovata.

A un tratto dissi: “Se avete dei savoiardi del caffè, della panna, del mascarpone e del cioccolato fondente, vi preparo il mio personale zuccotto. Vi va?”

E così, il venticinque dicembre, ero ancora lì a Leiden, lontano da tutta la mia famiglia, ma felice di rendermi utile in casa di Saverio. E quando quel pomeriggio li vidi quasi divorare il mio zuccotto, mi sentii appagato e felice.

Avrei potuto provare una certa invidia per Saverio. Ma noi, nonostante i lunghi anni passati lontani, eravamo contenti. Saverio era genuino e la mia era pura ammirazione.

Lui e Lara avevano scelto un tipo di vita in cui l’approccio umano con gli altri, supera il lato pecuniario della faccenda.

Anch’io ero soddisfatto dei miei progressi. Se mi trovavo lì era proprio per i miei risultati sul campo, ma guardare Lara e Saverio mentre accennavano a prendere un’altra fetta del mio dolce, era qualcosa che non avevo mai provato prima.

Era stata una sorpresa per loro. E per me, era stato un modo per ringraziarli. Presi in mano il telefono e scattai loro una foto.

Quella notte pensai molto alla mia vita e la paragonai a quella del mio amico ritrovato e della sua bella famiglia. Nonostante lui se ne fosse andato da Roma molti anni prima, non avevo mai pensato che avrei potuto fare anch’io la stessa cosa. Non avevo mai nemmeno osato immaginarmi al di fuori del mio solito giro. E poi, dovevo ammettere a me stesso che non mi dispiaceva la vita assieme ai miei genitori. Una vita di comodo che all’improvviso cominciava a pesarmi.

Quando il ventisei mattina arrivò il mio taxi, Saverio, nell’abbracciarmi disse: “E’ stato un Natale che ricorderò per sempre. E quando mi ricapita di mangiare un zuccotto così!”

Scoppiammo a ridere. Era il nostro modo di dirci che eravamo stati bene assieme. Stavo per aprire la portiera della macchina, poi mi girai. Saverio era ancora lì, dietro di lui Lara con in braccio la piccola Sara. Allora dissi: “Be’… si può sempre ripetere.” Non diedi loro il tempo di ribattere. Ma mentre la macchina mi portava sempre più lontano, sentii una notifica sul telefono. Sorrisi, era una foto che Saverio mi aveva fatto mentre indossavo il grembiule ed ero assorto nel preparare il dolce. Sorrisi. Ma poi arrivò un suo messaggio che diceva così:

“Quei quindici anni di lontananza li ho visti andarsene in un baleno. Non occorre che ti dica che questo è stato un Natale speciale, perché già lo sai. Ti chiedo solo una cosa: quando tornerai alla tua vita, fai in modo di includere anche noi nei tuoi programmi. Ti abbraccio ancora, amico mio.”

A Ciampino pioveva. Mio padre aveva insistito nel venirmi a prendere. Guardavo il lungotevere e pur amando quel fiume e ogni mattone di quella mia grande città, mi sentivo triste.

Pensavo a una villetta a due piani dove avevo lasciato calore e pace. Ripresi in mano il cellulare e risposi a Saverio.

“Amico mio, i miei piani stanno già cambiando. Ti abbraccio anch’io!”

Qualcosa era scattato dentro di me, qualcosa che non potevo ignorare e non volevo fermare. Ero più deciso che mai a migliorare la mia vita e a cambiarla radicalmente. Sapevo che non sarebbe stato facile, ma trovai più consenso tra i miei famigliari che non tra i colleghi di lavoro. Il mio capo mi trattò con sufficienza quando gli annunciai il mio licenziamento. Quando disse: “Avevo riposto piena fiducia in te, ma evidentemente, mi sbagliavo” rimasi impassibile. Avrei voluto rispondergli che anch’io mi ero sbagliato sul suo conto, ma non dissi nulla. L’ultimo periodo in azienda, mi fece capire chi era davvero un amico e chi non lo era mai stato. E quando finalmente arrivò l’ultimo giorno, non ebbi, nemmeno per un momento, nessun rimpianto. A chi mi chiedeva: “E adesso, cosa farai?” Rispondevo allegramente: “Il pasticcere!”

Adesso vivo a Leiden da tre mesi. Nel mio nuovo viaggio, ho conosciuto Enrica, una giovane provetta pasticcera. Anche lei frequentava il mio stesso corso. E anche lei, come me, aveva deciso di dare un taglio netto con la sua precedente vita per reinventarsene una completamente nuova.

La nostra casa è ancora in alto mare, ci sono scatoloni un po’ da per tutto, ma siamo felici. Non ho rimpianti ed Enrica ha un grande entusiasmo che mi sta trasmettendo anche quando sono un po’ giù. Quest’anno, il Natale lo abbiamo trascorso proprio qui a casa nostra. Quando aspettavo che i miei arrivassero all’aeroporto ero nervoso, ma non ne avevo motivo perché  tutto è andato bene. Enrica ha cucinato per tutti ed è stato un successo.  E il mio zuccotto, è stato strepitoso. Saverio e Lara dissero che lo avevano atteso da un anno. Io mi godevo quel bellissimo spettacolo. Ero orgoglioso di vedere tutta la mia famiglia e i miei amici assieme. Seduti su sedie di fortuna, ma felici di poter condividere questo bel momento in compagnia. Solo nonna Lina ha avuto la sua piccola rimostranza: “La prossima volta, metticela un po’ di panna in più!” Scoppiammo tutti a ridere. Nonna Lina non cambierà mai, io invece, per fortuna, sì.

 

 



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