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La pasticceria di Carmela

Da oltre cinquant’anni, la pasticceria di Carmela ha fatto sognare e gioire generazioni di passanti. Quel posto, diventato strategico negli anni, era nato quasi dalla disperazione di una donna che si sentiva fuori posto in un luogo non suo, con un dialetto parlato così stretto che le sembrava fatto apposta per metterla a disagio.

Carmela aveva lasciato tutto presa dall’entusiasmo dell’uomo a cui era stata promessa. Quando suo padre le aveva comunicato che avrebbe sposato Michelino, il figlio del pescivendolo, il suo cuore aveva battuto forte forte. Lei, a quel tempo tredicenne, si era commossa. Non conosceva l’amore, ma sapeva che Michelino era un bravo ragazzo. Aveva l’animo buono. E quando capitava di incontrarsi, lui arrossiva. Michelino aveva tre anni più di lei. Erano due ragazzini che i grandi volevano far crescere in fretta. Carmela aveva tre sorelle più piccole. “La disgrazia mia!” inveiva a volte suo padre che faceva il panettiere. Era stato dentro quel luogo, tra lievito e farina che Carmela aveva sentito spesso il desiderio di fare dell’altro, di sperimentare cose nuove. Ma non aveva mai avuto il coraggio di chiedere qualcosa a suo padre. Sapeva che l’avrebbe liquidata con fare brusco. Eppure, una cosa lui l’aveva fatta per lei: le aveva permesso di andare a scuola. In questo, la madre di Carmela l’aveva spuntata. “Nei momenti in cui c’è tanto da fare, la bambina può aiutarti se sa leggere e scrivere” aveva argomentato sua moglie. Così, a malincuore e borbottando, l’uomo aveva accettato. Michelino invece, sapeva a malapena fare la sua firma. Anche lui aveva iniziato a frequentare la scuola, ma non aveva costanza e l’aveva lasciata senza terminare l’anno. Il padre, sotto sotto aveva gongolato. “L’importante è conoscere il valore dei soldi” diceva sempre lui. Infatti, su quello Michelino era d’accordo col padre. E poi il ragazzo era sveglio. Gli piaceva ascoltare ciò che le persone dicevano ed era bravo a memorizzare quelle conversazioni. Era stato così che aveva coltivato l’idea di andarsene. Voleva visitare altri posti. Luoghi diversi da quello, più grandi dove si diceva, si vivesse meglio, più felici. Un uomo in particolare gli aveva instillato il seme della curiosità quando aveva detto: “Questo paesino è fantastico, ma ce ne sono tanti altri uguali a questo, se non più belli. E poi ci sono le città, dove anche le donne lavorano e guadagnano soldi onestamente. Non ti piacerebbe visitarli questi posti?” Quella domanda era rimasta senza risposta, ma Michelino ci pensava, ci pensava tanto. Immaginava posti come quello, ma non riusciva invece a visualizzare le città, dove anche le donne lavoravano. Nella sua breve vita, Michelino aveva conosciuto solo donne dedite alla casa e ai campi. A volte sua madre aiutava suo padre a vendere il pesce. Era quello un lavoro? Pensava Michelino tra sé. Ma non ne era convinto perché i soldi sua madre non li guadagnava. Era suo padre a tenerli e amministrarli. Era quella la vita che conosceva e non sapeva cosa pensare. Forse quell’uomo si era preso gioco di lui. Eppure, quei discorsi stavano attecchendo. Un giorno suo padre aveva sentito quel forestiero mentre raccontava ancora a Michelino le bellezze di posti lontani. E mentre Michelino ascoltava, suo padre si era avvicinato al forestiero e aveva detto: “Lascialo perdere a Michelino che poi lui ci crede alle cose che dici!”

L’uomo si chiamava Mario. Era la prima volta che Michelino lo sentiva chiamare per nome. Suo padre gli aveva messo una mano sulla spalla, una mano callosa che odorava di pesce anche la domenica, il giorno di riposo per eccellenza. Guardando negli occhi il forestiero, suo padre aveva detto: “Mario, tu vieni dal Nord! Qui è diverso, lo sai.” Ma Mario aveva ribattuto con voce quasi astiosa: “Il Nord non è tutto come lo descrivo a Michelino, ma c’è gente che ha la volontà di cambiare. Basta volerlo!” Quel “Basta volerlo!” era diventato il mantra di Michelino. E quando al compimento dei quindici anni Carmela si era unita a lui in matrimonio col beneplacito delle due famiglie, quel mantra era diventato anche il suo. Così, dopo neanche sei mesi di convivenza in casa dei suoceri, Carmela aveva azzardato una richiesta. Nel buio della notte dopo aver saziato quel marito gentile ma esigente, in un impeto di smarrimento aveva detto: “Che ne è stato di quel “Basta volerlo!” a cui tanto credi? O non ci credi più?” In quel momento Michelino si era reso conto che Carmela era cresciuta. Non era più una bambina. Nel suo intimo lui aveva sperato che Carmela rimanesse incinta. E dopo averlo annunciato, fare una gran festa con le due famiglie e gli amici di sempre. Ma i mesi passavano e ancora non era successo niente. E proprio gli amici del paese, quelli che conosceva da una vita, avevano iniziato a fare battute pesanti sul suo ruolo di marito, che iniziavano a disturbarlo, così, quella notte, alla domanda della sua giovane sposa, aveva detto: “Hai ragione Carmelina. Non te l’ho mai detto, ma Mario mi ha scritto un indirizzo, mi ha detto: “Questo è il mio regalo per quando ti sposi. Fallo leggere a tua moglie quando sarai pronto.” E non è tutto Carmelì... Mario mi ha lasciato dei soldi. “Questi,” mi disse: “sono per il viaggio, per te e tua moglie. Spero li userete presto.” Adesso mi sento pronto Carmela.” E così, quella bambina divenuta improvvisamente donna, si era sentita investire di un ruolo importante. Michelino aveva tirato fuori il foglio nascosto accuratamente, e quando lo porse a Carmela, lei lesse: “Mario Santini via dei Fori imperiali 25 Treviso.” Quell’indirizzo non le diceva niente, il nome di quella città non le diceva niente. Non l’aveva mai sentita menzionare. Per quanto ne sapeva, poteva essere un posto fasullo, un nome inventato. Michelino la guardava attentamente, scrutando i suoi occhi e cercando di leggerle dentro, lui che non aveva terminato la scuola. Eppure, aveva intuito il turbamento di Carmela, così aveva detto: “Non saprò leggere ma comprendo il tuo smarrimento.” Lei si era morsa il labbro, lo faceva sempre quando si sentiva a disagio. Un po’ si vergognava per tutta quella faccenda. Soprattutto si rendeva conto di non avere strumenti per prendere una decisione così importante, come abbandonare quel luogo dov’era nata lasciando la sua famiglia e quel po’ di certezza che rappresentava la sua umile esistenza. Fu in quel momento che le tornò in mente la maestra Pina. Se c’era qualcuno che poteva aiutarla, quella era proprio lei. Dopo aver aperto il suo sguardo con un timido sorriso, disse: “Mi fido di te Michele e anche del tuo amico Mario, ma lasciami un giorno per riflettere. Voglio essere assolutamente sicura del passo che faremo. Andrò in biblioteca a cercare informazioni su questa città. Anch’io voglio andarmene quanto o forse più di te, ma non dobbiamo fare errori.” Michelino aveva acconsentito. Per lui Mario era una garanzia, ma capiva anche la riluttanza di sua moglie, così la abbracciò stretta consolidando così quell’unione voluta dalle loro famiglie, ma che, per una volta, aveva lasciato tutti contenti.

La maestra Pina, guardava con occhi bonari Carmela, poi le tornò il foglio con l’indirizzo di Treviso. Alla fine disse: “La città esiste, eccome Carmelina. Si trova in Veneto. Ma ciò che mi preoccupa, non è la vostra voglia di andarvene, quella è legittima. Questo è un piccolo paesino di mare con pochi sbocchi. Anche adesso che la guerra è finita da quindici anni, tutto è rimasto intatto come quando ero bambina, e quando mia madre era bambina. Io però, sono stata fortunata. Ero la figlia del preside dell’unica scuola, ero una privilegiata. Un po’ di mondo l’ho visto… No, quello che mi preoccupa è l’impatto che avrete trasferendovi in un’altra regione. Lì qualcuno potrebbe non apprezzare il vostro arrivo. Mi dispiacerebbe se questo accadesse.” “Io volevo solo sapere se il posto esiste, nient’altro. Al resto ci penseremo dopo.” Persino la maestra Pina si era messa a ridere dopo quelle parole pronunciate un po’ troppo bruscamente da Carmela. “E allora vai Carmela!” esclamò la maestra Pina, aggiungendo subito dopo: “Sono fiera di te cara. Sono sicura che saprai cavartela portando onore alla nostra terra.” Carmela corse a casa e quando Michelino la vide, gli si illuminarono gli occhi. Aveva capito dallo sguardo di sua moglie che c’era una sola cosa da fare, infatti, dopo averlo baciato, Carmela disse: “Che aspettiamo. Facciamo il biglietto per Treviso e poi cerchiamo la via dei Fori imperiali al numero 25.”

Sembrava tutto facile, ma quando Michelino andò dal padre, quest’ultimo fu irremovibile: “Troverai la tua strada soltanto quando avrai compiuto ventun anni.” Michelino non se l’aspettava. Era stato pronto per un matrimonio, ma non altrettanto per andarsene. “Tra l’altro,” aggiunse il padre, “ti spetta una cospicua somma di denaro che il tuo nonno materno, ti lasciò per quando saresti divenuto maggiorenne. Se te ne vai ora, perdi tutto.” Quello era un ricatto. Michelino lo sapeva. Fu un colpo per Carmela che già si vedeva sul treno alla scoperta di nuovi mondi, ma conosceva benissimo ciò che doveva fare: tacere. Passato il primo momento di smarrimento, Michelino provò a considerare i lati positivi di tutta la faccenda: “E ce ne sono sai!” aveva detto a Carmela dandole un buffetto sulla guancia. “Per esempio, quando partiremo saremo un po’ più maturi di adesso e forse anche meno sprovveduti.” Carmela però pensava solo a quei tre lunghi anni che ancora la attendevano e che avrebbe dovuto trascorrere in casa coi suoceri. Ma Michelino aveva l’asso nella manica quando disse: “Al compimento dei miei ventun anni, avrò dei soldi in più che perderei se me ne andassi ora. Con quei soldi potremo magari aprirci una nostra attività. Ti piacerebbe Carmelì?” Ma Carmela in quei momenti tornava bambina. Troppe cose a cui pensare, pensieri negativi e solo voglia di piangere. Di notte si girava e rigirava nel letto. Fu in uno di quei agitati dormiveglia che le venne un’idea. Al mattino, prima che Michelino uscisse per aiutare suo padre al lavoro, disse: “Ho pensato una cosa. Vorrei insegnarti a leggere e scrivere. Questi tre anni ci possono servire anche per questo. Immagina… a ogni stazione che incontreremo potrai leggere il cartello. Così, quando arriveremo a Treviso, tu lo saprai ancora prima che venga annunciata dal capostazione.”

“E tu come le sai tutte queste cose se non sei mai uscita dal paese?” chiese Michelino con fare indagatore. Carmela era arrossita, ma poi aveva detto: “La maestra Pina mi fa leggere dei libri quando vado a trovarla, e poi lei ha viaggiato molto in treno. Mi ha spiegato tutto.”

Con riluttanza, Michelino iniziò a seguire le lezioni che Carmela gli faceva. Aveva lasciato la scuola per noia e senza un vero scopo. Le costrizioni lo disturbavano, quello era un lato del suo carattere difficile da sradicare. Ma riprendere a imparare, ricominciando dall’alfabeto, gli piaceva. Imparare per uno scopo: quello di essere più preparato per andarsene, era proprio ciò che gli ci voleva. Passato il primo momento di euforia, sia Carmela che Michelino, per motivi diversi si sentivano scoraggiati. Ma, qualche piccolo passettino veniva fatto. E quando Michelino fu in grado di leggere senza intoppi un breve pensiero che Carmela aveva scritto, si commossero entrambi. Piano piano le cose andavano avanti, come pure gli anni. La notte della partenza nessuno dei due riuscì a dormire. Michelino, ventunenne da poco più di un mese, aveva riscosso la sua parte d’eredità, ma non era felice. Sapeva che lasciare il paese significava non rivedere più i suoi genitori, i suoi suoceri, i suoi amici. Ora Michelino sapeva leggere. Sua moglie si era impegnata molto in questo. Adesso Michelino si rendeva ancora più conto del grande divario che c’era tra lui e i suoi genitori semi-analfabeti. Se avesse scritto, loro non avrebbero capito. Forse avrebbe telefonato al bar del paese per sentire le loro voci. L’avrebbe fatto, forse…

Così, mentre il treno proseguiva la sua corsa, il paesaggio cambiava scenario. Michelino guardava di sottecchi Carmela. Gli occhi di sua moglie si erano rasserenati. Nonostante non ci fosse nulla di certo, quell’ignoto era eccitante.

E poi, proprio nell’ultimo mese c’era stata una grossa novità. Quella novità che fin dall’inizio Michelino aveva atteso. Carmela era incinta! Ma non c’era stata nessuna festa e nessun annuncio. Per volere di lei. Ufficialmente gli aveva detto che dirlo subito portava male, ma lui sapeva che Carmela non era superstiziosa. Aveva voluto credere a quella scusa semplicemente per non rovinare il bel momento della partenza. Carmela aveva detto: “Mio figlio nascerà a Treviso” poi si era corretta dicendo: “nostro figlio.”

Quel silenzio gli aveva fatto male. I suoi genitori e i suoi suoceri sarebbero diventati nonni senza saperlo, almeno all’inizio. Perché Carmela, ne era convinto, avrebbe visto in quel loro bambino, i tratti famigliari dei suoi e in qualche modo li avrebbe informati.

Erano quasi le tre del pomeriggio del giorno dopo quando il treno arrivò alla stazione di Treviso. Michelino e Carmela erano stanchi. Si sentivano storditi e un po’ fuori posto. Le persone si incamminavano con le loro valige salutando parenti o conoscenti. “Non si capisce cosa dicono” aveva farfugliato Carmela. “E’ perché parlano in dialetto” aveva risposto Michelino. Intanto, Mario li attendeva. Aveva ricevuto quel telegramma il giorno prima. Da subito si era adoperato per farli sentire a proprio agio. Lui, uomo schivo e riflessivo, aveva atteso quegli anni con pazienza. Ma finalmente Michelino era riuscito ad arrivare assieme a Carmela.

Michelino… Per quel ragazzo taciturno e gentile, aveva fatto del suo meglio. Solo lui e Tina, la madre di Michelino conoscevano la verità. Quando Mario aveva incontrato Tina, se n’era innamorato subito. Lei, giovane sposa, aspettava suo marito come tante altre donne aspettavano i loro uomini andati al fronte. Però anche Tina si era innamorata di Mario, quel giovane riformato per un pesante disturbo alla vista. Così, Mario aveva continuato il suo lavoro di commerciante, almeno fin che aveva potuto.

Tina si era unita a lui in un tiepido pomeriggio di marzo quando la fine della guerra era ormai nell’aria. Era successo un’unica volta. Una magia indimenticabile. Quando si rese conto di aspettare un figlio, arrivò persino a sperare che suo marito non tornasse più. Invece, due mesi dopo lui riapparve. La pancia di Tina era ancora piatta, ma forse qualcosa era trapelato dal suo sguardo, da quegli occhi pieni d’angoscia. Tina non aveva mai mentito fino a quel momento, ma non voleva rivelare chi fosse il suo amante. Farfugliò una scusa di comodo, provando disgusto per sé stessa. Stuprata da un giovane americano in un giorno di marzo. Tina gli era sembrata sincera. Aveva pianto e lui era stato preso dallo sconforto. Le aveva chiesto che tipo fosse quel giovane militare. Era biondo con gli occhi chiari? C’era il pericolo che il bambino nascesse biondo, e allora sì che la gente se ne sarebbe accorta delle differenze. Ma Tina l’aveva rassicurato dicendo che quel tipo era moro proprio come lui. La pace, quella breve frase così ricca di significato, doveva tornare anche in casa sua. Dopo aver visto la miseria della guerra, ciò che desiderava era solo un po’ di pace e una vita tranquilla. Fecero in modo che non si notasse la pancia di Tina e quando il bambino nacque, lo riconobbe come suo. Sua moglie aveva avuto ragione, quel maschietto aveva i capelli neri e gli occhi marroni. Michelino somigliava molto a Tina, ma a volte, gli sembrava di cogliere nello sguardo di quel bambino, qualcosa di suo. C’era stato qualcuno, quel Mario che veniva dal Nord, per esempio, che un giorno aveva esclamato: “Però, Michelino è proprio tutto suo padre!” Lui aveva sorriso soddisfatto, anche Mario aveva sorriso. Col passare del tempo, si era quasi dimenticato che Michelino non era figlio suo. Dopotutto, Orazio, questo era il suo nome, era un brav’uomo, un po’ all’antica forse, ma bravo.

Orazio morì pochi mesi dopo la partenza di Michelino. Come figlio unico, non ancora completamente inserito in quel nuovo contesto, fece l’unica cosa che il suo cuore chiedeva: diede a sua madre una nuova opportunità.

 Era stato duro tornare al paese in così poco tempo. Ma Michelino si era sorpreso di quanto si sentisse già estraneo, lui che per ventun anni ci aveva abitato in quel luogo di mare dove la salsedine diventa parte di te penetrando in ogni poro della pelle. Dapprima Tina aveva rifiutato citando una serie di scuse a cui suo figlio non volle prestar attenzione. “Devi venire mamma!” aveva sentenziato Michelino. E per una volta, Tina si chiese se suo figlio non fosse stato davvero concepito con suo marito, perché in quanto a cocciutaggine, erano uguali.

Vendettero la licenza da pescivendolo di Orazio e lasciarono la casa senza portare niente, solo alcuni effetti personali di Tina. Avevano incaricato il padre di Carmela di vendere la loro piccola casa, promettendo una buona ricompensa se qualcuno l’avesse acquistata.

E così, anche per Tina iniziava una nuova vita.

E come era successo per Michelino e Carmela, anche stavolta Mario era lì ad accoglierla.

Non sarebbe stato facile riprendere un rapporto interrotto ventun anni prima. Ma Mario era paziente e gentile. Sembrava che la nuova vita in una città tanto lontana dal loro paese, fosse stata lì ad attenderli tutti e tre. Carmela diede alla luce una splendida bambina che volle chiamare Fiorella, poi, dopo averci tanto rimuginato, disse che era pronta per aprire una pasticceria. Quando quella sera l’aveva annunciato dopo aver cenato, ci fu un attimo di sbigottimento. Tina si era già risentita perché la sua prima nipote aveva un nome che non apparteneva a nessuno della sua famiglia. E poi… chi avrebbe tenuto Fiorella? La bambina aveva bisogno della madre, non c’era dubbio su questo. Ma Mario era stato bravo a dipanare quella matassa facendo in modo che i bollori si calmassero, soprattutto quelli di Tina.

“La bambina verrà con me” aveva sentenziato Carmela. La ragazza era determinata, ma si era confidata con Mario, un uomo che trovava sempre più vicino a un padre. Spesso ne parlava anche con Michelino, diceva: “Vorrei che tu fossi così, come Mario, gentile e rassicurante soprattutto con nostra figlia. Non devi aver paura di mostrare i tuoi sentimenti.” Michelino allora osservava meglio quell’uomo che l’aveva spronato a cambiare vita. Cercava allora di imitarlo, ma ogni tanto prevaleva quel suo vecchio stile di vita fato di arroganza e strafottenza. E quando succedeva era il primo a vergognarsene. Comunque, dopo nemmeno tre anni dal loro arrivo, Carmela, Michelino e Tina, cominciavano a sentirsi parte di quella città amandola in tutte le sue forme. Il Sile, quel fiume straordinario che l’attraversava, i viali, le sue mura che hanno secoli di storia assieme alle tre porte rimaste… E fu in una di quelle passeggiate che Mario dichiarò a Tina il suo amore. “Non avrei mai voluto lasciarti” le aveva detto, stringendole con delicatezza la mano. Lei era incredula. Nonostante avesse serbato dentro il cuore i ricordi di tanti anni prima, aveva sperato che lui si sposasse, che avesse dei figli. Non aveva compreso invece che per Mario lei era stata speciale. Lui si era stretto nelle spalle, come per scusarsi, poi aveva detto: “Si vede che una meglio di te non l’ho trovata.” Tina era arrossita. E mentre mangiavano un gelato in una tiepida sera di giugno, si sentirono più leggeri, più felici.

La pasticceria fu ufficialmente inaugurata proprio a ridosso del Natale del settanta. Carmela aveva da poco compiuto ventun anni e sentiva tutta la freschezza e la forza tipiche della giovinezza. Non c’era niente che la spaventasse. E quando aveva chiesto aiuto ai suoi famigliari, le sue sorelle erano state pronte e recettive.

Anche al paese le cose stavano cambiando, dicevano le ragazze, ma a Carmela non interessava. Non sentiva nostalgia, anche se ogni tanto succedeva. Le mancava il suo mare. Ma erano momenti. Le bastava guardare suo marito, la scioltezza nel trattare coi clienti. Nessuno avrebbe detto che non tanti anni prima, Michelino era analfabeta.

E adesso, a settant’anni suonati, Carmela e Michelino lasciavano l’attività. Era stata una decisione sofferta da entrambi. “Siamo ancora in salute” dicevano. Avevano proposto un cambio generazionale, ma Fiorella e Marco, il fratello arrivato cinque anni dopo di lei, non erano interessati. Nemmeno i loro figli lo erano.

Carmela e Michelino lo sapevano, ma ci avevano tentato lo stesso.

Anche le sorelle di Carmela, dopo alcuni anni in pasticceria, avevano preferito fare altro.

Al paese erano rimasti solo i loro genitori che non avevano mai voluto affrontare un viaggio per vedere come se la passavano le loro figlie. Per quell’uomo, era difficile ammettere che dopotutto le sue figlie non erano state una disgrazia.

Carmela non se l’era presa. Quando aveva potuto, era andata lei a trovarli.

Ma adesso, al paese non c’era più nessuno.

“Quello è l’ultimo posto dove andrei” aveva detto a Michelino. Lui aveva annuito. Forse anche per lui era lo stesso. Scoprire poi l’identità del suo vero padre, non era stato semplice. Erano implicate emozioni, ricordi, sensazioni, difficili da sradicare. Orazio, dopotutto era stato un buon padre. Per quanto Mario fosse stata una figura fondamentale per la sua crescita, non riusciva a vederlo come padre.  Fino all’ultimo, l’aveva chiamato per nome, ma Mario aveva capito. E quando i suoi occhi si stavano per chiudere per sempre, avevano incontrato quelli di Michelino, suo figlio. Erano occhi bagnati di lacrime di dolore perché si stavano salutando. Forse, un giorno si sarebbero rivisti. Mario ne era certo, si sarebbero abbracciati come solo un padre e un figlio sanno fare. Tina aveva vissuto qualche altro anno, ma il collante era Mario. Lei, Tina, dopo la morte di lui, si era adagiata, senza prendere iniziative. A lei andava tutto bene, anche se tutti sapevano che non era così.

Quando se ne andò, faceva freddo. Nella sua espressione si poteva leggere un “Vi saluto, tolgo il disturbo.” Eppure, Tina avrebbe potuto dare tanto, se solo ci avesse creduto un po’ di più.

Carmela aveva passato in rassegna la sua vita mentre, sola nel suo laboratorio, passava in rassegna utensili e pentolame. Alla fine avevano venduto l’attività a una giovane coppia di Treviso. La ragazza se la ricordava bene perché spesso aveva accompagnato la madre a comprare la torta per il compleanno suo o di qualcun altro. E le paste la domenica mattina? Quelle non mancavano mai. A Carmela piaceva l’idea di questa continuità: da cliente a proprietaria. A Giada, augurava il meglio. “Se io ci sono riuscita, giovane e inesperta ragazza del Sud, ci devi riuscire anche tu che qui ci sei nata” avrebbe voluto dirle, ma Carmela si era limitata a dire: “Adesso verrò io da te a comprare le paste la domenica per pranzo...” Qualche volta Carmela l’avrebbe fatto davvero, ma non sarebbe stata una regola. Si conosceva troppo bene. Avrebbe avuto la tentazione di criticare il lavoro di Giada e del marito. Meglio lasciar perdere. A volte le cose è bene tenerle per sé. Michelino era d’accordo. Sua moglie non era più la ragazzina di un tempo. Aveva saputo dirigere magistralmente un laboratorio di pasticceria inventandosi dal nulla. Ma quegli anni di responsabilità l’avevano forgiata facendole affinare il carattere che a volte era un po’ troppo autoritario.

Passato il testimone a Giada, Carmela e Michelino si erano avviati verso casa. Avevano salutato amici e conoscenti che erano passati per l’ultima volta dal laboratorio non senza qualche lacrimuccia da parte dei più affezionati.

E quando finalmente erano rimasti soli, Carmela e Michelino si erano guardati, come dire: “E adesso?” Era stato Michelino a parlare per primo: “Che ne direbbe la mia esigente mogliettina di un bel viaggetto in treno? Magari con uno di quei nuovi treni a scorrimento veloce.” Non c’era stato bisogno di chiedere dove poter andare. Lo sapevano entrambi.

“Mi manca il mare e l’odore di sale che si impregna dappertutto” aveva risposto Carmela con sincerità. “Saremo due turisti” aveva aggiunto Michelino. Ma il turista non ha vissuto in quel posto. Forse se ne può anche innamorare, ma poi torna a casa, alla sua vita, alle sue abitudini e porta con sé qualche souvenir, tante foto e qualche bel ricordo. Ma loro forse non avrebbero riconosciuto quel posto. Qualche albergo in più, facce nuove, nessun legame. Solo il mare era rimasto lo stesso. Le onde, a volte calme, a volte impetuose… E mentre il treno sfrecciava verso la loro meta, il sapore di mare inebriava la loro mente riscaldando il loro cuore.

A Treviso ormai c’erano le loro radici, la loro casa, ma al paese, altre radici li attendevano. Erano i ricordi e la voglia di farci pace.

Arrivarono a pomeriggio inoltrato. Il sole stava tramontando regalando colori pastello pieni di poesia. Carmela e Michelino si avviarono mano nella mano verso il mare. A lui spettava il primo saluto. E mentre erano lì a osservarlo in silenzio, sentirono pescatori arrivare con la barca. Parlavano in dialetto, quel dialetto che quasi non ricordavano più. Prima che la barca li raggiungesse, Carmela e Michelino si avviarono verso l’hotel. Un gruppetto di turisti sostava svogliatamente nella hall dell'albergo. Carmela e Michelino si mescolarono a quel vociare allegro. Nei volti, un po' di stanchezza forse a causa delle ore di viaggio in pullman o in treno. Parlavano la loro lingua: l'italiano. Forse erano dell'Italia centrale. Chissà. Ma per quanto provassero a confondersi tra quella folla, sapevano di non farne parte. Loro non erano in vacanza come quelle persone. Adesso lo sapevano. Erano lì per una sorta di riappacificazione. Le loro radici erano a Treviso. Lì c'era la loro vita, i loro affetti. Lì c'era quella cosa chiamata casa dove era piacevole ritornare. Ma quel mare, quello stesso mare che per un breve periodo era stato il loro mondo, aveva anch'esso un posto speciale nei loro cuori. Così, come per un tacito accordo, Carmela e Michelino uscirono da quell'allegra, ma chiassosa hall. Fuori, quell'inconfondibile odore di salsedine, portò i loro passi di nuovo alla spiaggia. La barca di pescatori non c'era più.

Adesso il silenzio è ciò che sovrastava in quel momento, silenzio e quel lento sciabordio delle onde che dava ancor più valore a quel momento.

Carmela e Michelino si tenevano per mano e mentre i loro occhi erano chiusi, sentivano finalmente che a poco a poco la tensione spariva. Ciò che rimaneva era una profonda gratitudine per ciò che avevano e una serena riconciliazione col loro passato.

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