ingombrante facesse per lui. Il telescopio aveva trovato posto nella sua cameretta che si trovava nel piano superiore della casa. Luke amava quella stanza perché aveva il tetto spiovente, le travi in legno, ma soprattutto un terrazzino da cui si poteva accedere solo da lì. “E’ l’ideale per piazzarci il tuo telescopio” aveva detto suo padre. Luke era d’accordo, ma non aveva mai osato provarlo lasciando che il tempo passasse in quella apparente indifferenza. Ogni tanto, suo padre gli proponeva quelli che lui chiamava “gli avvistamenti serali” ma Luke declinava sempre l’invito. A dieci anni, iniziava a comprendere che quello non era il giusto atteggiamento. Eppure, la primavera era arrivata senza che nulla di nuovo accadesse. A poco a poco, il padre di Luke aveva smesso di chiedergli di osservare assieme le stelle, e il telescopio, veniva toccato soltanto quando la madre di Luke lo spolverava. Un giorno però, tutto cambiò. Quel mattino a scuola, era andato tutto storto, il compito di matematica era stato un disastro, e come se non fosse bastato quello, il suo migliore amico, gli aveva annunciato che stava lasciando la città. Il padre era stato trasferito molto lontano e lui doveva seguirlo. Durante la ricreazione, mentre sedevano in cortile tristi e sconsolati, improvvisamente, si accorsero che un palloncino giallo, stava fluttuando leggero nell’aria. I loro occhi erano ipnotizzati inseguendo quel volo silenzioso. Non fecero nulla per prenderlo, fu lui invece ad arrivare da loro. I due bambini si guardarono e nonostante la tristezza per doversi lasciare, si sorrisero. “E’ un segno, non credi?” disse Mark con convinzione. “Sì” disse con altrettanta certezza Luke. Quella sera dopo cena, Luke decise di andare subito in camera sua. Avrebbe potuto giocare alla playstation, ma quella non era la serata giusta. Stava per mettersi a letto tutto sconsolato, quando l’occhio gli cadde sul libretto di istruzioni del telescopio che giaceva sul comodino senza che mai fosse stato aperto. Più Luke leggeva, più si rendeva conto che dopotutto, quell’oggetto, non era così difficile da adoperare. “E’ la sera giusta” pensò Luke. Così, lo portò nel terrazzino e iniziò a regolare la visuale. Era una serata di maggio. Durante il giorno, il caldo cominciava a farsi sentire, ma la sera faceva ancora fresco. Luke si mise una giacca più pesante, spense la luce, alzò la testa al cielo e vide un manto scuro con tante stelle che brillavano. Con febbrile eccitazione, provò a osservare dentro a quel grande obbiettivo. Luke fu sopraffatto dall’emozione. Era stupendo scrutare quell’ammasso stellare. Certo, Luke non sapeva cosa stesse guardando, ma l’immensità di quell’universo gli fece palpitare il cuore ancor più forte. Si ritrasse dall’obbiettivo, dopo una breve vertigine. Si nascose gli occhi con le mani per alcuni secondi e pensò per un attimo al suo atteggiamento di quei mesi. Come poteva aver denigrato, seppur non apertamente, quel regalo così prezioso. Si riposizionò al telescopio e riprese ad osservare. Stavolta cercò di focalizzare meglio la sua attenzione. Fu allora che la notò, una bella stella solitaria. Lo spazio tra lei e le altre, sembrava enorme. Luke le sorrise. Avrebbe voluto sapere la storia di quella stella, ma soprattutto quale fosse il suo nome... A malincuore, Luke decise di rientrare. Ripose il telescopio all’interno della stanza, chiuse la porta finestra, si mise il pigiama e se ne andò a letto. Non fu facile prendere sonno quella sera. Luke ripercorse le cose che gli erano successe: c’era stato il compito che era andato male e che doveva rimediare al più presto. Aveva ricevuto la notizia della partenza del suo migliore amico, tutte cose che gli avevano procurato un costante malumore. Poi, ripensò al palloncino giallo caduto dal cielo quel mattino, lui e Mark come unici testimoni. Inoltre, c’era stato il telescopio e la miriade si stelle che vi aveva visto, fino a focalizzarsi su una in particolare. Ecco, era stata lei, il suo ultimo pensiero prima di addormentarsi.
La sera seguente, c’erano ospiti a cena. Luke sapeva che si sarebbe annoiato, erano due coppie senza figli che già erano state a casa sua. Fu grato perciò a sua madre quando gli propose di cenare in camera sua con latte e biscotti. Avrebbe acceso la tivù e optato per qualche programma interessante, ma mentre stava per fare quell’operazione ormai meccanica, Luke guardò il telescopio. Tra la scuola, i compiti e il nuoto, se n’era dimenticato per tutto il giorno. Ripensò alla sera prima, alle emozioni inaspettate che aveva provato, e a quella meravigliosa solitaria stella di cui non conosceva il nome. Così, aprì la porta del terrazzino e posizionò il telescopio nello stesso punto della sera prima. Luke c’era nato in quella casa, ma non era molto che dormiva in quella stanza mansardata perché fino all’anno prima, era adibita a ripostiglio. Un giorno però, mentre Luke cercava una palla, si rese conto di quanto era bello stare lassù, proprio perché c’era quel piccolo terrazzino. Da lì si poteva dominare e guardare lontano perché non c’erano case, ma solo spazi aperti. Da lì, tutto era più bello. Memorabile era stato un pomeriggio di qualche tempo prima, che dopo un energico temporale, aveva ammirato assieme al suo amico Mark, uno stupendo arcobaleno doppio. Erano felici allora, spensierati, non sapevano ancora che la loro amicizia sarebbe stata messa alla prova dalla lontananza. Luke si preparò ad osservare il cielo. La luna era ridotta ad uno spicchio, spense anche la luce così che tutto fu buio. Quando accostò l’occhio sull’obbiettivo, la scena della sera prima si ripeté. Una miriade infinita di stelle apparve ai suoi occhi. Luke ebbe il pensiero di paragonare quell’enorme ammasso luccicante, ad uno stupendo abito bianco indossato magistralmente dal cielo. Improvvisamente la vide, la sua stella solitaria. Ineguagliabile nella sua bellezza. A Luke vennero in mente certe ragazzine della sua classe che facevano di tutto per farsi notare. Erano carine certo, ma nessuna di loro era così splendente.
L’osservare le stelle divenne per Luke una piacevole abitudine. Tutte le sere controllava quel mondo a lui sconosciuto, ma che lo affascinava sempre di più. Aveva chiesto anche a suo padre di fargli avere un libro di astronomia perché non gli bastava più ammirare il creato, voleva imparare a conoscerlo. Una sera comunque, qualcosa andò storto perché la stella Solitaria come Luke l’aveva chiamata, non c’era più, o almeno lui non riusciva più a vederla. Il bambino scrutò con attenzione, ma il posto di Solitaria era vuoto. Cosa poteva esserle successo? Luke sapeva del fenomeno delle stelle cadenti e di come si disintegravano nell’atmosfera. Che fosse successo qualcosa di simile anche a lei? Quella notte Luke sognò Solitaria, la sognò in tutta la sua bellezza e lucentezza. La stella lo rassicurava dicendogli di stare tranquillo perché era tutto a posto… lei era al suo posto.
La sera successiva, mentre i suoi occhi erano fissi ad osservare quell’infinita miriade di corpi celesti, suo padre si avvicinò lentamente a lui. Luke gli fece posto. Era bello poter finalmente condividere un momento assieme a suo figlio. Anche Luke percepiva quella sensazione di fiducia autentica che si stava instaurando tra di loro. Scaturì perciò da questo sentimento, il desiderio di Luke di confidarsi con suo padre. Gli parlò della sua tristezza per la partenza di un amico, del palloncino che era volato vicino a loro proprio quando aveva ricevuto quella notizia. Gli confidò anche di quanto amasse quella stanza perché aveva proprio quel terrazzino che era perfetto per il suo telescopio. Il padre lo ascoltava. Suo figlio stava crescendo. Stava imparando che a volte ci si sente tristi per un amico che se ne va. “La vostra amicizia rimarrà, se è davvero speciale.” Quella frase detta da suo padre mentre Luke guardava le stelle, fu come un balsamo per lui. Fu proprio in quel momento che Luke la vide. “Eccola!” disse euforico. La sua stellina, era ancora lì al suo posto. Aveva raccontato a suo padre anche di Solitaria, così puntò il dito verso di lei, la sua amata stellina. “E se la chiamassimo: Solitaria, La stella di Luke ” ?
Il bambino era commosso dalle parole pronunciate dal padre, perché non aveva tolto il nome che lui le aveva dato, ma aveva voluto aggiungerci anche il suo. Si girò verso di lui e quando i loro occhi si incontrarono, non ci fu bisogno di dire più niente. Quando la madre aprì la porta, vide la scena più bella a cui potesse assistere, l’abbraccio di un padre e di un figlio.
Comments