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Il sogno di Vera


Accadde tutto esattamente un anno fa. Avevo compiuto da poco ventidue anni. Ero al terzo e ultimo anno di “Lingue, Letterature e Mediazione culturale” all’ateneo patavino.

Avevo discusso molto con mio padre sul tipo di facoltà da prendere. A scuola ero sempre andata bene più o meno in tutte le materie. Fu la mia voglia di viaggiare e scoprire culture diverse dalla mia che mi fece cadere la scelta su quella triennale.

Mio padre come spesso accadeva, non ne era rimasto entusiasta.

“Tu sei nata per essere avvocato. Te l’ho sempre detto. Possibile che non mi ascolti mai?” Ricordo ancora la sua espressione mentre mi diceva queste parole. Oggi più che mai sono contenta di non averlo ascoltato.

Andando a ritroso nel tempo, rivedo chiaramente quella che fu la mia famiglia fino a una decina di anni fa. Io e mia sorella Claudia, andavamo alle medie. Tornavamo a casa affamate. Quando aprivamo la porta di casa c’era sempre un buon profumino di cibo. Ci lavavamo le mani velocemente e ci mettevamo a tavola. Papà arrivava dal suo ufficio di commercialista e si sedeva assieme a noi.

Tutto sembrava bello, perfetto. Ma lo era davvero? Io e Claudia spesso dopo mangiato, lasciavamo i piatti sul tavolo e andavamo a studiare in camera nostra, con lo stereo che andava a tutto volume.

Le discussioni tra mio padre e mia madre ho cominciato a sentirle quando un giorno che sembrava uno come tanti, andai in camera mia senza accendere lo stereo. Il rumore improvviso che proveniva dalla cucina, mi sembrò quello di un bicchiere che si frantumava. Mi misi ad ascoltare e sentii nitida la voce di mia madre che diceva:

“Per favore Pietro, non adesso. Ci sono le bambine in casa.”

Aprii lentamente la porta della mia camera e colsi da lontano il braccio alzato di mio padre. Lo schiaffo sulla guancia di mia madre fu violento. Richiusi piano la porta e tornai in camera sconvolta. Fu quello il momento in cui capii che l’immagine della nostra bella famigliola felice, si era sgretolata senza rimedio.

Poco tempo dopo quell’episodio, la prepotenza di mio padre nei confronti di mia madre, iniziò a palesarsi anche quando io e Claudia eravamo presenti. Spesso le sue lamentele riguardavano il cibo. Cercava di coinvolgere anche noi figlie chiedendoci: “Non vi fa schifo questa pasta? A me fa proprio vomitare.” Di solito non dicevamo niente. Mia madre piangeva in silenzio e questo dava a mio padre un motivo per umiliarla ancora di più dicendole apertamente: “Ma non lo vedi come ti sei ridotta? Sei patetica.”

Le cose andarono avanti così per un po’ fino a che la presenza di mio padre divenne sempre più saltuaria. Tornava ogni tanto a prendere della biancheria e quando succedeva, spaccava sempre qualcosa. Era come se un demonio si fosse impossessato di lui.

Mia madre era il ritratto della disperazione. Si mise a cercare qualche lavoretto da fare perché mio padre di soldi non ce ne dava. Poi, un giorno, si presentò a casa come niente fosse. Iniziò a chiederci della scuola e delle attività sportive. Mamma lo guardava domandandosi probabilmente dove stesse l’inghippo. Invece papà le fece i complimenti per il pranzo e fece programmi per il weekend. Come potevamo fidarci di quell’uomo così instabile? Le cose tornarono a posto e la nostra casa riprese un ritmo di apparente normalità. Se ci fossero violenze, erano mitigate molto bene.

Il tempo trascorreva. Claudia si era trasferita in Spagna. Aveva partecipato ad uno stage a Madrid e lì aveva conosciuto Fabio un italiano che lavorava e viveva lì in pianta stabile ed erano andati a vivere assieme.

Dopo l’ammissione come matricola all’università di Padova, mio padre mi aveva promesso una mini vacanza a Barcellona. Sapeva che quello era il mio sogno. Avevo sempre rimandato accampando scuse su scuse. Eppure mio padre sembrava essere tornato il papà affettuoso di un tempo. Mia madre invece, non era più riuscita ad essere di nuovo lei col suo sorriso. La complicità che aveva prima mentre guardava mio padre, non c’era più. Quella donna sembrava fosse scomparsa per sempre. Ogni tanto mio padre mi ricordava che Barcellona mi aspettava, così, decisi di andarci prima di dedicarmi alla tesi. Il giorno della mia partenza non ero felice, forse dentro di me sapevo che qualcosa non andava bene. Probabilmente era un sesto senso o forse anch’io come mia madre non ero più stata capace di dare una totale fiducia a mio padre. Lo spettro dei suoi momenti bui era rimasto in casa.

Nei primi giorni tutto sembrò smentire le mie paure.

Chiamai spesso a casa e le voci dei miei genitori erano le stesse di quando ero partita. Cercai così di rilassarmi e godermi la città.

Claudia stava programmando di prenotare un treno per venirmi a salutare. Ero felice di rivederla dopo due anni. Mia sorella era stata latitante in casa. Avevo intenzione di parlargliene. La notte che cambiò la mia vita per sempre, fu Claudia ad avvisarmi. Stavo per risponderle male, ero ancora addormentata ma mi svegliai all’istante quando capii dalla sua voce che qualcosa non andava, che dovevo tornare immediatamente a casa, mi disse: “Ho appena trovato un volo da Madrid per Venezia.”

Avevo il cuore che pompava a dismisura. I miei arti tremavano tutti, soprattutto non sapevo esattamente che cosa fosse successo a casa mia.

Quando arrivai all’aeroporto, scorsi lo zio Gino, il fratello di mio padre e sua moglie Franca che quando mi videro, mi vennero incontro abbracciandomi. La zia Franca singhiozzava, mi diceva: “Perdonaci Giulia. Noi non avevamo capito.”

Fu solo quando salimmo in macchina che zio Gino ebbe il coraggio di dirmi cosa era successo: “Tuo padre ha dato di matto Giulia. Ha ucciso tua madre a colpi di pistola e poi si è suicidato.”

Improvvisamente avevo tutto chiaro anche se paradossalmente i miei occhi erano annebbiati. Papà era disturbato. In qualche maniera avrebbe dovuto essere curato e invece è rimasto libero di far danno. Amaramente pensai che la mia sensazione prima della partenza era stata giusta. In qualche maniera avevo temuto che sarebbe successo qualcosa di brutto. Non avrei saputo come giustificare un mio rifiuto a partire per una vacanza pagata per giunta da mio padre.

I corpi dei miei genitori non erano più in casa, erano sul letto del patologo. “E’ la prassi” mi dissero. Nonostante tutto, io sentivo la loro presenza. Sul muro dove per tanti anni c’era stata la gigantografia di un momento felice dei miei, non c’era più niente. Potevo immaginare che mio padre nella sua ira l’avesse scaraventata a terra e fatta in mille pezzi.

Ormai niente aveva più importanza.

Io e Claudia andammo per qualche giorno a casa degli zii. Li rassicurammo che non dovevano sentirsi in colpa per non aver capito la gravità del comportamento di nostro padre. Se anche l’avessimo capito, lui, si sarebbe fatto aiutare? Scoprimmo che mamma aveva denunciato papà parecchi anni prima ma di aver poi ritirato la denuncia.

“Forse aveva ripreso a fidarsi di lui” disse zia Franca con gli occhi umidi di lacrime. Avremmo dovuto essere consolate noi figlie, invece dovevamo ripetere all’infinito agli zii che loro non avevano colpa, che dovevano stare tranquilli.

Io e Claudia tornammo in quella che era ancora la nostra casa.

Provammo a riprendere in mano la nostra vita ma ci rendemmo conto che era davvero dura.

Claudia sarebbe ripartita a breve per Madrid. Mi raccontò che aveva una mezza idea di rimanere in Spagna.” Se mi assumono” disse: “io rimango li Giulia.” Non menzionò neanche una volta il nome di Fabio così immaginai che forse tra loro era finita. Per la prima volta mi sentii persa. Nonostante alcuni mugugni, celebrammo un unico funerale in forma strettamente privata dentro la cappella del cimitero.

Quando tutto fu finito, sperai di riprendere a vivere, ma se di giorno le ore passavano riempiendo il mio tempo tra studio e nuoto, quando si avvicinava l’imbrunire, il silenzio della casa era insostenibile. La notte era ancora peggio.

Ero rimasta sola. Claudia mi aveva fatto una proposta prima di tornare a Madrid: “Giulia, io ci ho riflettuto su e ho pensato che sarebbe meglio se vendessimo questa casa. Col ricavato possiamo comprarci entrambe un mini in Spagna o dove ci piace di più. Che ne pensi?” Ero perplessa. Nonostante tutto, questa era stata la nostra casa per tanti anni. Io non sapevo se sarei stata pronta a venderla. “Devo rifletterci” risposi.

Un giorno mentre stavo riorganizzando la mia camera, trovai una busta a me indirizzata dentro il mio comodino. Riconobbi immediatamente la scrittura di mia madre e nonostante non ne conoscessi il contenuto, mi misi a piangere. Era la prima volta che piangevo. Sentivo terribilmente la sua mancanza, mi sembrava che la sua vita mi fosse passata davanti senza che io fossi stata in grado di apprezzarla veramente. Presi con mani tremanti la busta e la aprii, quando lessi le prime parole: “Carissima Giulia …” scoppiai a singhiozzare forte lasciandomi andare alla più nera disperazione. Piano piano mi calmai, mi feci coraggio e lessi le parole che mia madre aveva scritto per me.

“Carissima Giulia, prima di tutto voglio dirti che sono davvero fiera dei tuoi successi scolastici. Qualunque cosa andrai a fare nella vita, sono certa che la farai bene, perché questa è la tua indole. Fin da bambina tu sei sempre stata curiosa di scoprire il mondo e i suoi abitanti. Anch’io avevo delle velleità di cui non ti ho mai parlato. Mi sarebbe piaciuto diventare una cuoca di fama mondiale. Avrei voluto avere il mio bel ristorante di classe e magari farlo diventare col tempo, un brand. Avevo però un padre che era di tutt’altra idea, mi disse: “O ti iscrivi a ragioneria o vieni ad aiutarmi in bar.” Con tutta la rabbia che puoi immaginare, mi iscrissi a ragioneria. In qualche modo riuscii a portare avanti quei cinque anni e mi diplomai. Anche a quel tempo era difficile trovare subito lavoro così, per non stare a casa, andavo ad aiutare mio padre al bar. Fu lì che conobbi Pietro. Veniva la mattina a fare colazione. Io l’avevo notato subito. Era un bel ragazzo, un po’ più grande di me. Gli preparavo il cappuccino e lui aveva sempre una parola gentile per me. Mi raccontò che si era appena avviato lo studio di commercialista e che stava cercando una segretaria. Io gli dissi: “Che coincidenza. Io sto cercando lavoro.”

Pietro non ci pensò due volte. Mi diede appuntamento al suo studio per fare una prova. Una settimana dopo lavoravo per lui.

All’inizio mi trattava con molto rispetto. Mi sembrava un ragazzo d’altri tempi, poi una sera mi diede uno strappo a casa con la sua macchina. Iniziò ad adularmi e io, ingenua com’ero, ci cascai.

Non voglio rinnegare ciò che poi è stato, però ero molto giovane e Pietro aveva un carattere autoritario, un carattere che all’inizio non si era manifestato. Al lavoro cambiò atteggiamento. Da quando formavamo una coppia, decise che non era più il caso di pagarmi.

Forse avrei dovuto accorgermi allora che qualcosa non andava in lui ma era troppo tardi perché scoprii di aspettare un figlio. No, non era Claudia. Il nostro primo bambino era un maschio, lo chiamammo Giuliano. Morì a pochi mesi nella culla.

Io ero sconvolta ma tuo padre volle averne subito un altro. Io non ero di quell’avviso. Fu in quel periodo che invece di supportarmi, iniziò ad alzare le mani. Purtroppo quando rimasi incinta di Claudia, fu quasi uno stupro. Pietro stava diventando molto esigente e io dovetti sottostare alla sua lussuria.

La nascita di Claudia però, sembrò dare un nuovo inizio al nostro matrimonio. Quando, dopo due anni, gli dissi che aspettavo un altro bambino, lui fu al settimo cielo.

Io naturalmente non lavoravo più. Dico naturalmente perché non appena rimasi incinta di Giuliano, tuo padre decise che io sarei rimasta a casa fin da subito. Spesso gli chiedevo come andavano le cose con la nuova segretaria ma lui era sempre evasivo. Diceva che quando tornava a casa non voleva più sentir parlare di lavoro. Così, smisi di chiedere. Non potevo lamentarmi, a casa non mancava niente ma sentivo di non fare totalmente parte della vita di Pietro. Quando cercavo, dopo la morte di Giuliano di dire a tuo padre quali fossero le mie esigenze, i miei desideri, sbottava sempre con una frase: “Ti son venuti i grilli per la testa? Sai quante donne vorrebbero essere al tuo posto?”

Così, i miei sogni restavano tali. Spesso rimanevo a casa da sola ad aspettarlo con la tavola apparecchiata. Sospettavo che avesse un’altra. Cara Giulia, sto divagando lo so. Questi venticinque anni assieme a Pietro non sono stati tutti da buttare, non voglio nemmeno dare a lui tutta la colpa della nullità che sono diventata, perché vedi, cara figlia mia, quello che mi è mancato, è stato il carattere, e il coraggio di rischiare.

Avevo pensato, soprattutto nei primi anni di matrimonio, di lasciare tuo padre. So benissimo che a quest’ora non starei qui a scriverti, però, mi sarei guardata allo specchio sapendo che stavo facendo la cosa giusta, la cosa in cui credevo veramente.

Mio padre proprio in quegli anni, aveva deciso di vendere il bar. Diceva che era stanco, che non ce la faceva più a star dietro ai clienti. Io avrei tanto voluto dirgli di darlo a me in gestione. Avevo già in mente di trasformarlo in una piccola tavola calda. Lo sognavo di notte, ma… sapevo benissimo che i miei sarebbero rimasti soltanto dei sogni. Non avevo carattere. Lasciavo che gli altri mi trasportassero nella loro barca incuranti del mio mal di mare. Quando mio padre mi annunciò che aveva venduto il locale, smisi di sognare. Fu in quel periodo che rimasi incinta di te. Tuo padre appena seppe che eri femmina, non mi parlò per una settimana, come se la colpa fosse mia. Nel mio intimo, ero felice e non vedevo l’ora di conoscerti. In qualche modo mi sentivo già legata a te. Non fraintendermi, ho amato subito anche Claudia, però lei ha il carattere di tuo padre, non l’ho mai sentita davvero vicina. Con te invece, è stato diverso da subito. Eri buona e preferivi me a tuo padre. Questo almeno nei tuoi primi anni di vita. Le cose son cambiate quando iniziasti ad andare a scuola. Eri brillante in tutte le materie, ci hai sempre dato molte soddisfazioni. Tuo padre, come ricorderai, veniva ai colloqui coi professori. Lo faceva perché gli piaceva sentirsi dire che brava figliola avesse. Si era fissato che tu dovevi studiare legge. Che smacco gli hai dato quando hai scelto quello che più ti piaceva. E’ strano che uno come lui volesse avere in casa sua, una figlia che studiava legge, perché cara Giulia, lui la legge, non l’ha mai rispettata. Parecchi anni fa, presi il coraggio e lo denunciai. Pietro, come ti ho detto, ha iniziato a picchiarmi poco tempo dopo la perdita di Giuliano. In qualche maniera, mi riteneva responsabile della sua morte e voleva farmela pagare. Ho sempre cercato negli anni, di nascondere i suoi lividi, ma avevo paura per te e Claudia. Avevo paura che iniziasse a picchiare anche voi, perciò lo denunciai. Quando tuo padre lo seppe, cadde dalle nuvole, mi disse che avrei dovuto parlarne con lui e che se c’erano problemi, dovevamo risolverli a casa nostra. “E’ così che mi ami?” ricordo che mi chiese. Andai così a togliere la denuncia e scusarmi per aver fatto perdere tempo ai carabinieri.

Ma le cose non migliorarono, anzi, Pietro mi aveva sempre più in pugno. Ormai non potevo più denunciarlo perché, chi mi avrebbe creduto? E allora tu mi dirai giustamente: “Perché non hai parlato con me o con Claudia?” Già, perché? Volevo farvi crescere serene e senza odiare vostro padre. Se leggerai questa lettera, significa che io non ci sarò più.

So che tuo padre ha una pistola, questo, non mi fa stare tranquilla. Ho preso per tanti anni schiaffi, pugni e umiliazioni da lui ma sono sopravvissuta. Adesso però siamo soli, ogni sera vado a letto col pensiero di vederlo entrare mentre mi punta l’arma contro. Se stai leggendo, significa che è successo.

Per questo carissima figlia mia, ho voluto scriverti per dirti di non fare i miei stessi errori. Fai diventare reali i tuoi sogni, ma soprattutto, segui il tuo cuore.”

Mamma

Posai il foglio. Avrei tanto voluto prendere un altro foglio e rispondere a mia madre, dirle che tante cose le avevo capite, dirle che ero arrabbiata con lei perché i figli servono anche per confidarsi con loro. Avrei voluto dirle che un fardello così pesante non si può portare da soli. Avrei voluto soprattutto dirle che mi dispiaceva, che me la sentivo che la calma era solo apparente. Avrei voluto anche ringraziarla per aver voluto condividere con me i suoi sogni infranti. Dopotutto mia madre voleva fare solo quello che amava di più: cucinare. Lei era brava, era davvero molto brava. Se ripenso alle parole sprezzanti che mio padre le indirizzava a tavola solo per umiliarla davanti a me e mia sorella, mi detesto per non essere stata in grado di difenderla. Ma forse, le cose dovevano andare così. Mio padre si sarebbe accanito ancor di più su di lei lontano dai nostri sguardi, nel buio della camera da letto, ottenendo sempre la sua sciocca soddisfazione quotidiana.

Considero la lettera di mia madre, il suo testamento. Lei non mi ha lasciato soldi o gioielli, mi ha lasciato una cosa molto più importante: la sua testimonianza, la sua voglia di comunicarmi qualcosa, di indirizzarmi verso i miei sogni. Dopo questa lettera, credo che la mia rotta cambierà radicalmente. Ho ancora la tesi da preparare ma dopo la laurea niente sarà come prima.


Un anno dopo

Ho faticato molto ma alla fine ce l’ho fatta. Oggi ho inaugurato il mio ristorante, si chiama “Il sogno di Vera” in onore di mia madre.

Per giorni mi domandai come comportarmi con Claudia. Alla fine decisi di raccontarle tutto. La lettera era indirizzata a me però volevo essere onesta con mia sorella. Avevo deciso di non vendere la casa, volevo trasformarla in una locanda.

Claudia partì da Madrid apposta per discutere la cosa con me. Le diedi la lettera di mamma da leggere mentre io andai in cucina a far finta di fare qualcosa. Ero alla finestra a guardare le rose di mamma quando Claudia si avvicinò. Mi abbracciò e mi sussurrò all’orecchio: “Ho sempre saputo che preferiva te a me.”

Mi voltai e dissi: “Non è quello che lei ha scritto.”

Rimanemmo in silenzio continuando a guardare il giardino di Vera. Mia sorella riprese: “Dunque, spiegami esattamente che cosa vorresti fare qua dentro.”

Così, le raccontai il mio desiderio di realizzare qualcosa che nostra madre avrebbe tanto voluto fare ma che per mancanza di stima in se stessa non ha mai concretizzato.

“So bene che non sarà facile.” dissi “però è davvero quello che voglio fare per mamma, ma anche per me stessa. Potrei anche utilizzare la mia laurea in mediazione culturale per farmi conoscere anche all’estero.”

Dopo un lungo silenzio, Claudia disse: “Cara sorellina, ti darò tutto il mio appoggio in questo progetto. Mamma non ha avuto il coraggio di rischiare e guarda come è finita. Farò tutto il possibile per aiutarti. Siamo rimaste noi due, il minimo che possiamo fare è supportarci l’una con l’altra.”

L’abbracciai forte pensando che dopotutto mamma si era sbagliata sul carattere di Claudia.

E’ passato un anno da quella nostra conversazione. E’ stato un anno molto frenetico. Ho partecipato a diversi corsi di cucina. Ho imparato a perfezionarmi, ho anche sbagliato molto, ma senza mai scoraggiarmi. Avevo sempre in mente le parole di mia madre: “Abbi il coraggio di rischiare.” Questa frase è diventata il mio mantra, e alla fine eccoli qua i miei primi clienti. Quando ho avuto la prenotazione online, ho subito chiamato Claudia per darle la bella notizia. Anche lei aveva qualcosa da dirmi, “Tra sei mesi diventerai zia!” Ero felicissima. Sapevo che era tornata da qualche mese con Fabio, non sapevo però che fosse diventata una cosa seria. La sentii esultante e mi venne da piangere dalla commozione.

Alla fine della serata, quando quei primi clienti se ne andarono, apparentemente soddisfatti, andai in camera mia, presi un foglio di carta e scrissi: “Cara mamma, stasera i nostri primi ospiti, hanno mangiato qui, nel ristorante che io ho aperto al posto tuo. Sarebbe stato bello averti al mio fianco, ma so che questo non è più possibile, almeno, non fisicamente, perché io, la tua presenza, l’ho sentita. Tu eri con me e mi hai guidato affinché tutto andasse bene. Il tuo sogno si è avverato mamma. Grazie per avermi dato, col tuo esempio, la forza di resistere.


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