Ho una casetta graziosa che si affaccia su un bel viale di pini marittimi. Il mare non è così vicino da poterlo sentire. Un po’ mi dispiace. Avrei voluto che la casa fosse più esposta, così da poter ascoltare lo sciabordio delle onde che trovo rilassante, soprattutto nel silenzio della notte. Quando rimasi sola quel primo giorno in cui vi entrai, andai su in mansarda e aprii la finestra. Mi accorsi che da lì il mare sembrava davvero vicino. Avevo bisogno di sapere che c’era e che potevo respirare la sua aria benefica ogni volta che volevo. Quello, mi sembrava un giusto compromesso per poter ricominciare.
Se solo otto mesi prima qualcuno mi avesse detto che di lì a poco avrei cambiato completamente vita, non gli avrei creduto. Tutto attorno a me era solido, cementato con pilastri profondi. Due figli grandi, un marito affermato, una bella casa. Che altro potevo chiedere se non di continuare così in un tran tran cadenzato da un orologio che con me si era dimostrato buono e generoso? Quanto mi sbagliavo…
Era febbraio, faceva molto freddo. Lisa, mia figlia, non viveva più con noi da due anni. Quando tornava a casa, andava sempre di fretta, rimaneva così poco con noi che mi chiedevo perché fosse passata. Anche Bruno stava sempre più fuori casa. Quel giorno di febbraio, quei pilastri, iniziarono a sgretolarsi. La giornata era iniziata come al solito, una frettolosa colazione e un bacio altrettanto frettoloso che ci scambiammo io e mio marito. Quando entrai nel suo studio per far arieggiare la stanza, pensai di fare un po’ di ordine sul suo tavolo. E proprio lì, notai Il suo computer lampeggiare. Era in stand by. Lo trovai strano. Forse qualcosa lo aveva distratto e non aveva spento il pc. alzai il coperchio del portatile. Il sangue mi si raggelò e gli occhi mi si annebbiarono, come se un velo mi impedisse di farmi guardare. Due piccole creature bucavano quasi lo schermo con i loro occhi tristi. Erano un maschio e una femmina ed erano completamente nudi. Con mani tremanti andai avanti dove trovai altre immagini inequivocabili. Mi veniva da vomitare ma cercai di respirare. Richiusi il coperchio. Si dice che occhio non vede, cuore non duole. Avevo forse evitato di vedere fino a quel momento? Ero sconvolta. Non potevo mettere la testa sotto la sabbia e far finta di non aver visto. Ripercorsi la nostra vita a quattro e mi posi un’agghiacciante interrogativo: Lisa e Bruno. Erano stati molestati dal loro padre? Mi sentii venir meno e senza pensarci due volte, andai alla polizia e chiesi di indagare sull’integerrimo dottor Giusti. In quei giorni, ero combattuta. Non riuscivo a guardare negli occhi l’uomo che pensavo di conoscere da tanti anni, il padre dei miei figli. Lui sembrava non accorgersene. La notte era il momento più duro da affrontare. Il solo pensiero di spogliarmi davanti a lui, mi era divenuto disgustoso. Più lui mi cercava, più io mi irrigidivo, finché una notte mi chiese: “Ma insomma, cos’hai” Allora accesi la luce e dissi: “La polizia sta indagando su una rete di pedofili, c’è anche il tuo nome sulla lista.” Vidi la sua bocca contorcersi in una smorfia di incredulità. In quel momento paradossalmente, capii di avere davanti a me un estraneo ed ebbi paura. “Non dici niente?” chiesi, solo per prendere tempo. Senza parlare, spense la luce e si girò dall’altra parte. Possibile che quell’uomo avesse vissuto accanto a me per quasi trent’anni senza darmi il benché minimo sospetto? Era sempre stato premuroso con i nostri figli, attento ai loro progressi scolastici. Bruno lo aveva accompagnato nelle gite in barca fino alla prima adolescenza. Cercavo di ricordare i nostri picnic a quattro. Le nostre vacanze. L’umore dei nostri figli. Non riuscivo a visualizzare situazioni strane. Forse non aveva avuto il coraggio di molestarli. Come potevano essere vittime di quel loro padre che avrebbe dovuto proteggerli? Gli occhi di quei due bambini, erano impressi nella mia mente. Aveva trovato nel web la loro immagine? O era stato lui a fotografarli? Se Lisa aveva subito violenze da parte del padre, perché non si era mai confidata con me?
Quel giorno di marzo, io e Bruno eravamo soli a casa. Come sempre era silenzioso, ma poi fu lui a parlare per primo: “Me ne vado da questa casa. Andrò a Venezia a studiare belle arti, lo zio Ugo mi darà una mano almeno all’inizio.” Io ingerii quell’informazione quasi con sollievo. Avevo un peso sul cuore e dovevo parlare con qualcuno, così dissi: “E’ meglio così. Forse tuo padre è un pedofilo. C’è un’indagine in corso.” La risata senza allegria di Bruno mi sorprese. Poi ridivenne serio e le sue parole furono come schiaffi sul mio viso. “Per quanto tempo hai fatto finta di non sapere mamma? O eri così cieca da non accorgerti di quello che io e mia sorella abbiamo subito?” Scoppiai a piangere, ma Bruno non venne a consolarmi. Gli urlai tra i singhiozzi che non mi ero accorta di niente. Poi mi alterai anche con lui e dissi: “E io? A cosa servivo io? A prepararvi il pranzo? A lavarvi i vestiti? Sono vostra madre. Il mio compito è quello di difendervi. Perché non avete avuto fiducia in me?”
Ero esausta. La mia famiglia si stava sgretolando sotto ai miei occhi. Quando mi calmai dissi: “Ho visto per puro caso l’immagine di due bambini completamente nudi sul desktop del computer di tuo padre. Ero incredula, ma non ho esitato e sono andata subito alla polizia.”
Quel pomeriggio io e Bruno andammo a fare un giro in macchina. Mi portò a circa un’ora da casa in un laghetto grazioso che conoscevo bene. Era stato lì che tanti anni prima, un bel giovane dall’aria innocente mi aveva baciata e chiesto di diventare la sua ragazza. “Ricordi le mie uscite in barca assieme a papà?” La voce di Bruno mi aveva riportato bruscamente al presente. “All’età di nove anni, ero stato orgoglioso di fare la mia prima uscita in barca con lui. Mi sentivo già grande. Non avevo paura di lui anche se ogni tanto lo sentivo entrare di notte nella camera di Lisa. All’inizio ero geloso di lei, come se lui la preferisse a me, poi un giorno, Lisa si chiuse a chiave e lui entrò furtivamente da me. Si avvicinò al mio letto, mi baciò sulla fronte, poi mi sfiorò le labbra con le sue. Non lo aveva mai fatto. Aprii gli occhi e lui mi carezzò i capelli dandomi la buonanotte. Ero turbato, sentivo ancora quelle labbra un po’ ruvide sulle mie. Mi chiedevo perché papà l’avesse fatto. Quel giorno che uscimmo in barca, avevo dimenticato quell’episodio anche se era capitato una settimana prima. Remammo fino a quell’isolotto laggiù. Eravamo allegri, ma dopo mangiato, mi chiese di avvicinarmi a lui. Non so perché, ma all’improvviso ricordai la sua visita notturna ed ebbi paura. Lui mi incoraggiò e io non potei far altro che andare da lui. Fu da quel giorno che io divenni la sua preda notturna.”
Rimanemmo in silenzio. Non c’era niente da dire.
Quello che mi tormentava, era quel non aver capito, non aver immaginato. I nostri rapporti sessuali erano diradati. Ogni tanto ne parlavo con le mie amiche, più che altro erano loro a dirmi che le cose a letto coi loro compagni non erano più così sfavillanti come un tempo. Allora, pensavo che tutto fosse normale. Mi ritenevo fortunata perché avevo due bravi figli. Tutti e due con velleità artistiche. Lisa insegnava musica ed era diplomata in pianoforte. Bruno invece aveva fatto il liceo artistico e adesso voleva continuare alle belle arti a Venezia. “Ti molesta ancora?” chiesi d’impulso a Bruno. Lui fece un mezzo sorriso poi disse: “No, sono anni che gliel’ho’ impedito anche se questo non significa che ogni qual volta ci incrociamo con lo sguardo, non legga desiderio nei suoi occhi.” Dopo un breve silenzio disse: “Sono giunto alla conclusione che quell’uomo sia malato.” Quell’uomo… Bruno aveva introdotto in quel momento un termine che segnava un ulteriore distacco tra di loro. Avrei tanto voluto sentire Lisa. Dovevo cercare di farle capire che anch’io ero una vittima in quel dramma familiare. Una bella casa, un giardino curato, un bel conto in banca. Ecco ciò che le persone vedevano al di fuori. L’apparenza, una facciata pulita, delle belle tendine alle finestre, ma all’interno c’era il marcio. Basta una mela bacata per infettare tutte le altre. Mio marito è quella mela. Abbiamo vissuto gomito a gomito per così tanto tempo, che non mi ero accorta che mi stava contaminando. Aveva fatto in modo di non farmi vedere il suo marciume. Mi aveva ingannato.
Bruno partì per Venezia. Ci salutammo con un abbraccio pacificatore. Non potevamo far finta di niente, ma dovevamo guardare avanti. Il giorno che Bruno se ne andò, mio marito fece la valigia e lasciò me e la nostra casa. Dove se ne voleva andare? Avevo saputo che l’indagine era a buon punto. Non provavo più niente per lui, speravo solo che lo mettessero dentro al più presto. Non dovetti aspettare molto.
Un giorno, notai sopra il suo comodino un foglietto appallottolato, lo aprii e lessi: “Cara Giulia, me ne vado perché non voglio crearti nessun imbarazzo. La polizia a casa nostra alimenterebbe ulteriori chiacchiere. Sei stata una buona moglie. Non è stata colpa tua.” Forse si era pentito di averlo scritto e nella fretta di andarsene, aveva dimenticato di buttarlo. Mio marito era stato arrestato quasi subito. Io e i ragazzi, ci eravamo dichiarati parte lesa nel processo per direttissima. Quel periodo è stato pesante, ma allo stesso tempo bello. Ho ritrovato finalmente i miei figli e sento di averli vicini anche se sono lontani. E’ stata Lisa un giorno a dirmi: “Perché non vendi questa casa? Se non sbaglio è completamente tua. Potresti trasferirti al mare…” Così, eccomi qua a ricominciare a vivere. Ogni tanto i fantasmi del passato ritornano. Allora esco fuori, attraverso la pineta e vado a guardare il mare. Oggi, Bruno e Lisa arrivano. Faremo il weekend assieme. Ogni volta che li vedo, osservo i loro occhi, sarò felice solo quando non vedrò più ombre. Anche loro stanno tentando di ricominciare.
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