Sono svogliatamente seduta al computer osservando la sfilza di compiti che devo fare per le vacanze pasquali. Il pomeriggio è a dir poco strepitoso, il sole è ancora alto e illumina il tavolo dove sono seduta.
Di solito questa è la mia stanza preferita. Qui c’è una grande libreria che prende un’intera parete. I libri sono tanti ma non sono catalogati in bell’ordine come si vede in certe riviste d’arredamento. Basta avvicinarsi per capire che sono libri vissuti. Ho imparato fin da piccola a comprenderne il loro valore grazie ai miei genitori e alla mia nonna materna Elsa che ancora oggi mi stupisce per la sua innata curiosità. Ma qui ci sto bene anche perché dalla grande vetrata all’inglese, entra tanta luce e poi posso osservare il nostro giardino interno che fa da sfondo al portico di mattoni rossi dove troneggia il grande tavolo in legno attorniato da sedie spaiate recuperate da mio padre chissà dove. Non riesco ancora a decidermi a prestare la mia attenzione al compito da fare, il più arduo tra tutti quelli che mi sono stati assegnati. In questi giorni di inizio primavera, il prato si è coperto di margherite. E poi ci sono i due ulivi che erano già qui prima che i miei genitori comprassero questa casa. E il pesco piantato da papà che in questo periodo dà il meglio di se rivestendosi di delicati fiori rosa. È in questo giardino, lontano dalla strada e da occhi curiosi, che mi sento al sicuro ed immune da ogni catastrofe che possa succedere al di fuori di queste mura. Curo personalmente un piccolo fazzoletto di terra adibito ad orto botanico dove crescono rigogliosi timo salvia e rosmarino. Ora che ci penso, mi rendo conto che io e la mia famiglia, possediamo ciascuno un pezzetto di giardino solo nostro. Mia madre non ha il pollice verde ma da un po’ di tempo ha iniziato a coltivare piantine grasse. Lei lo chiama il suo hobby senza impegno, però ho notato che non passa giorno che non vada a controllarle. Mio padre è il giardiniere di casa, è grazie a lui se l’erbetta verde è sempre così perfetta. Anche nonna Elsa quando viene a trovarci per dei periodi che a volte durano qualche mese, porta le sue inseparabili orchidee. Sono molto legata a lei, vorrei tanto che fosse qui. Di sicuro troverebbe il modo per aiutarmi. E’ lei l’artista di casa, ma oggi sono sola e il compito che mi è stato assegnato a scuola mi sembra insormontabile. Come posso descrivere ciò che un pittore ha creato? Mi sembra quasi di violare la sua intimità. Osservo il mio bel giardino fiorito. Seguo un’ape che si è posata sul fiore dell’albero. Starei qui per ore a guardarla ma non posso indugiare oltre. Cerco di concentrarmi e scacciare il malumore. Mi faccio aiutare da una mega tazza di tè rosso che di solito mi fa rilassare. La tazza è un po’ troppo calda e cautamente l’appoggio sul tavolo.
Dunque, mi sforzo di osservare il dipinto che mi è stato assegnato ma non vedo altro che un gruppo di persone che si intrattengono in una stanza mentre una ragazza suona il piano. “Questo è l’ovvio tesoro. Deve esserci qualcosa di più di quello che i tuoi occhi catturano con un’occhiata sommariamente veloce”. Credo che nonna Elsa mi direbbe proprio qualcosa di simile. Così, decido di ingrandire la figura e la osservo con più interesse. Penso ad Hassam Childe, colui che ha dipinto questa scena. Era forse amico di quei giovanotti ritratti? Era lui stesso uno di loro? Mentre la musica comincia ad arrivare alle mie orecchie, la porta del salone si apre con naturalezza davanti a me.
Rimango in piedi immobile ad osservare la scena. La stanza è molto grande. A terra, un tappeto di un rosso sgargiante striato a motivi irregolari di giallo, copre per la gran parte un vecchio pavimento di legno.
Dieci ragazzi vestiti con abiti da sera elegantemente raffinati, stanno in piedi, composti a sentire colei che li delizia mentre le sue dita toccano i tasti del piano e la melodia ne esce come per magia. Un po’ più in là fervono i preparativi per la cena. Tutto viene organizzato con dei sussurri per non turbare quel suono.
Decido di avvicinarmi un po’ di più. Avanzo in punta di piedi, non voglio disturbarli, e non voglio neanche rischiare di farmi vedere. Ho il cuore che pompa all’impazzata, devo essere cauta. Mi nascondo dietro ad una pesante tenda che però, mi offre un’ottima visuale.
La ragazza continua a suonare e tutti estasiati la ascoltano. Mi chiedo se quegli sguardi d’ammirazione siano autentici. Sarà lei la padrona di casa? O è un ospite? Ritorno ad osservare con più attenzione le quattro ragazze che in piedi la ascoltano. Vedo chiaramente tre di loro mentre la quarta è girata, mi sembra che guardi lo spartito ma le altre tre forse stanno cominciando ad annoiarsi. I ragazzi invece, pare facciano a gara su chi sia il più rapito dei sei anche se guardando meglio, credo che i più attenti siano i due che si trovano alla destra della pianista. Il mio occhio si sofferma in particolare sul più alto dei due. Ho l’impressione che il suo sguardo vada oltre la musica. Credo sia innamorato della pianista.
Improvvisamente un tintinnio di campanella fa cessare bruscamente la musica. Un’invitante profumo di erbette aromatiche, aleggia nell’aria. Come vorrei sedermi accanto a loro ed esprimere la mia gratitudine per il dono che mi stanno facendo. Ma trattengo questa mia frenesia limitandomi ad osservare la scena.
Tutti guardano verso sinistra dove una tavola ben apparecchiata aspetta solo i suoi commensali.
La pianista si alza e subito il ragazzo dallo sguardo oltre la musica è pronto ad offrirle il braccio, lei raccoglie l’invito ma a tavola i loro posti sono lontani. Li osservo ancora un po’.
Il piano è silenzioso, la sedia dove la ragazza era stata seduta è vuota. Per un attimo ho la bizzarra idea di sedermi su quella sedia. Ovviamente desisto. Ho ancora in testa il suono di quella melodia che mi aveva fatto scordare tutto il resto. Quanto vorrei avere un briciolo di conoscenza musicale. Avrei potuto apprezzare ancor di più quell’esecuzione. D’un tratto riemergo da quel dolce torpore in cui mi ero rifugiata. Devo lasciare questa stanza, ma quando mi sento finalmente pronta, l’occhio mi cade sul grande specchio ovale che sembra dorato appeso proprio sopra il muro dove appoggia il pianoforte. Buffo, non l’avevo notato prima, eppure è davvero imponente. Ero stata talmente impegnata ad osservare quei ragazzi e la loro giovane amica pianista, che non ci avevo fatto caso. Eppure, nonostante io sia abbastanza nascosta, vedo la mia immagine riflessa. Dunque la pianista mi ha visto! Tuttavia, non ha mai smesso di suonare. Mi sento emozionata, ho come la sensazione che quella musica sia stata suonata anche per me. Devo andarmene. Dopotutto, questo non è il mio posto. Ciò nonostante, non riesco a staccarmi da qui. Solo adesso mi rendo conto di essere andata ben oltre il dipinto. Ho reso vivi i suoi personaggi ma so che questo non mi basta. Voglio conoscerli più da vicino. Le due cameriere si danno un gran da fare per sparecchiare e per portare in tavola altre pietanze. A piccoli passi mi avvicino sempre di più al tavolo. Vedo la pianista mentre bisbiglia qualcosa all’orecchio di una delle due cameriere. Rabbrividisco perché gli occhi di quest’ultima si rivolgono verso di me. Rimaniamo qualche frazione di secondo fisse l’una negli occhi dell’altra. Di nuovo potrei girarmi e andarmene ma non lo faccio, i miei piedi non si spostano, è come se siano rigidamente piantati a terra. Accade poi qualcosa di assolutamente incredibile. La cameriera viene verso di me. Non dice nulla ma mi fa cenno col capo di seguirla. Io come ipnotizzata, la seguo. Mi porta vicino al piano e mi fa sedere lì da sola mentre gli altri continuano a mangiare a pochi passi da me. Sono perplessa. Non comprendo questo strano comportamento. Ma ecco che i commensali si alzano dalle sedie e tornano ognuno al proprio posto attorno al piano. Sento sfiorare i miei capelli, mi giro appena; è il ragazzo biondo che poco prima, aveva posato la mano sulla poltroncina. Nonostante il giovane indossi dei guanti leggeri, sento un brivido correre attraverso la schiena. Il tocco di quella mano è leggero, delicato. La pianista riprende a suonare e tutti noi estasiati la ascoltiamo in silenzio lasciando trasportare la nostra mente in luoghi dove tutto è possibile. Adesso riesco a leggere il foglio che la ragazza ha appoggiato sul piano. “Frederic Chopin Notturno Op. 9 No 2.” La mia emozione è grande. Osservo le dita della pianista, sono delicate ed eleganti mentre si appoggiano sui tasti. Il suo sguardo è assorto, la musica è tutto ciò che conta in quel momento. Sono ancora imperniata di una serena beatitudine quando sento lo sguardo della giovane su di me. Non c’è bisogno di parole. Capisco all’istante che il mio tempo con loro è scaduto. Mi alzo, goffamente, le faccio un cenno di gratitudine per l’onore che mi è stato concesso e quasi in punta di piedi attraverso il grande salone mentre la musica continua a riempire la stanza. La mia mano è un po’ titubante nell’aprire la porta che mi conduce fuori da quell’ambiente così perfetto e magico, ma non ho scelta.
Lo schermo del computer è andato in stand-by ma con un movimento del mouse mi riappare la pagina del dipinto. Rivedo la poltroncina da dove poco prima mi sono alzata, la mano del giovane biondo è ancora appoggiata allo schienale, risento il suo tocco mentre mi sfiora i capelli. Risento i suoni che si diffondono in quella grande stanza così accogliente. Rimango un minuto in raccoglimento. Avverto ancora la musica ma con dispiacere, sento che il suono è sempre più flebile fino a quando non la sento più. Ho avuto un’esperienza straordinaria ed unica. Prendo in mano la tazza ormai fredda. Assaporo l’aroma dolciastro del roiboss. Mi sento ancora stordita per l’esperienza appena vissuta. Guardo oltre la grande vetrata il mio giardino e penso: “Quanto tempo sarò rimasta ad osservare l’opera di Hassam Childe?” Non so dare una risposta a questa domanda, che alla fine, non è poi così importante. Apro un’altra finestra sul mio computer e digito: “Frederic Chopin Notturno No 2” E’ facile la mia ricerca. Dopo un attimo, youtube mi propone alcune versioni. Ne prendo una a caso, chiudo gli occhi e ascolto. E’ bella ma non ha il trasporto che ho sentito io, manca di calore. Ritorno sul dipinto e come se qualcuno mi stesse spingendo, torno ancora una volta ad aprire quella porta. E’ bello poter rivivere una grande emozione. Ho appena il tempo di sentire le ultime note del brano che la ragazza sta suonando. Non è più lo stesso di poco prima. Non saprei dire se appartiene anche questo a Chopin, ma so ormai riconoscere il tocco gentile della pianista. Li osservo da lontano. Sono ragazzi vissuti due secoli fa, probabilmente felici di appartenere a quel tempo. Non hanno avuto gli smartphone o internet ma anche loro ogni giorno hanno visto il sole sorgere e tramontare, la luna sorgere e tramontare proprio come noi. D’improvviso sento un velo di tristezza invadermi. Mi accorgo allora del silenzio che persiste nella grande stanza. La ragazza ha smesso di suonare. Sono tutti ammutoliti, come fossero in attesa di qualcosa. Allora capisco. Si sono accorti ancora di me. Questa volta però, la cameriera non mi invita a sedermi. Semplicemente, tutti aspettano che io me ne vada. Mi accorgo allora di aver forzato un po’ troppo la mano. Non avrei dovuto tornare una seconda volta. Ma la voglia era tanta. Faccio loro un inchino, apro la porta e la chiudo finalmente dietro di me. Quando riapro gli occhi, mi sorprendo a sorridere. Mi sento leggera e appagata e sento che è arrivato davvero il momento di lasciar andare Hassam Childe e il suo prezioso olio su tela: “Attorno ad un piano”.
D’un tratto mi giro verso il giardino e li vedo. Mamma, papà e nonna Elsa sono lì, seduti attorno alla grande tavola che conversano in tutta tranquillità. E’ bello rivedere la nonna. E’ qui per il periodo pasquale e probabilmente rimarrà per un po’ con noi. Quando mi vedono, mi sorridono. Allora, finalmente anch’io esco in giardino e corro ad abbracciare la nonna che mi guarda e dice: “Hai studiato molto, sembri uscita da un altro mondo!” Io le sorrido e dico: “E’ così”.
Comments